COP30 di Belém: cosa contiene l’accordo Mutirão e perché non basta sulle fonti fossiliBLOGNEWSCOP30 di Belém: cosa contiene l’accordo Mutirão e perché non basta sulle fonti fossili

COP30 di Belém: cosa contiene l’accordo Mutirão e perché non basta sulle fonti fossili

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La COP30, la Conferenza delle Parti sul clima delle Nazioni Unite, si è chiusa il 22 novembre 2025 a Belém, in Brasile, nel cuore dell’Amazzonia. A dieci anni dall’Accordo di Parigi sul clima, la COP30 doveva essere la conferenza dell’implementazione: meno annunci e più strumenti concreti per ridurre le emissioni e aumentare la resilienza climatica.

Il risultato è l’accordo Mutirão, un pacchetto che rafforza finanza climatica, adattamento e giusta transizione, ma lascia irrisolto il nodo centrale: una roadmap globale per uscire dai combustibili fossili.

Che cos’è la Mutirão Decision della COP30 di Belém

La Mutirão Decision è il testo politico principale approvato alla COP30 di Belém. Il termine “mutirão” nella cultura brasiliana indica un lavoro collettivo di comunità per un obiettivo comune: un’immagine che la presidenza della COP30 ha voluto usare per ispirare una mobilitazione globale contro la crisi climatica.

Con la Mutirão Decision i Paesi:

  • riaffermano l’obiettivo dell’Accordo di Parigi di limitare l’aumento della temperatura globale a 1,5 °C;

  • richiamano il rispetto dei diritti umani, compresi diritti dei popoli indigeni, delle comunità locali e delle persone di origine africana;

  • riconoscono il ruolo delle città, delle imprese e della società civile nell’attuazione delle politiche climatiche.

La Mutirão Decision diventa così il contenitore politico di quattro pilastri: finanza climatica, adattamento climatico, implementazione degli impegni nazionali e giusta transizione.

Finanza climatica alla COP30: 1.300 miliardi di dollari l’anno entro il 2035

Uno dei risultati più visibili della COP30 è nella finanza climatica. La Mutirão Decision si collega al nuovo obiettivo di finanza climatica adottato alla COP29 e definisce la cornice operativa per il periodo fino al 2035.

Il nuovo obiettivo di finanza climatica

L’accordo di Belém indica l’obiettivo politico di mobilitare almeno 1.300 miliardi di dollari l’anno entro il 2035 a favore dei Paesi in via di sviluppo, combinando fondi pubblici e privati. Una parte di questa cifra dovrebbe provenire da finanza pubblica internazionale, con una quota minima garantita.

Per seguire questo processo viene istituito un programma di lavoro biennale sulla finanza climatica, che dovrà:

  • monitorare i progressi rispetto al nuovo obiettivo quantitativo;

  • discutere criteri, fonti e responsabilità degli attori pubblici e privati;

  • creare un dialogo stabile tra Paesi sviluppati, economie emergenti e Paesi più vulnerabili.

Adattamento climatico: triplicare i finanziamenti entro il 2035

La COP30 decide anche di triplicare i finanziamenti per l’adattamento climatico entro il 2035. Si tratta di un segnale politico importante verso i Paesi più esposti a ondate di calore, siccità estreme, alluvioni e innalzamento del mare.

Tuttavia, i rapporti internazionali sull’adaptation gap mostrano che:

  • i bisogni annuali di finanziamento per l’adattamento nei Paesi in via di sviluppo sono già oggi nell’ordine delle centinaia di miliardi di dollari l’anno;

  • le risorse effettivamente erogate sono ancora molto inferiori.

Triplicare i fondi è quindi un passo avanti, ma non chiude il divario tra bisogni reali e finanza disponibile.

Global Goal on Adaptation: nuovi indicatori e Piani nazionali

Un altro punto tecnico cruciale della COP30 riguarda il Global Goal on Adaptation (GGA), l’obiettivo globale di adattamento previsto dall’Accordo di Parigi.

Gli indicatori globali per l’adattamento climatico

A Belém i Paesi approvano una lista di circa 60 indicatori globali per l’adattamento. Questi indicatori servono a misurare in modo comparabile:

  • i mezzi di implementazione (finanza, tecnologia, capacity building);

  • la resilienza dei sistemi umani e naturali;

  • l’inclusione di approcci di genere, età e conoscenze indigene nelle politiche di adattamento.

Alcune modifiche dell’ultima ora indeboliscono però la coerenza del quadro, con il rischio di rendere più difficile l’uso degli indicatori nei rapporti di trasparenza che i Paesi devono presentare all’ONU.

I Piani nazionali di adattamento (NAP)

Alla COP30 viene sbloccata anche la decisione sui Piani nazionali di adattamento (NAP), ferma da due anni. Il testo:

  • riconosce i progressi dei Paesi in via di sviluppo nel preparare e aggiornare i NAP;

  • evidenzia le difficoltà nel reperire dati climatici, competenze tecniche e risorse finanziarie;

  • invita i donatori a facilitare l’accesso ai fondi e a sostenere la pianificazione integrata tra adattamento, sviluppo e riduzione del rischio.

Per l’Italia e l’Unione europea, la qualità dei NAP diventa un punto chiave anche per la cooperazione allo sviluppo e per la finanza climatica pubblica.

Il grande assente della COP30: una roadmap globale per uscire dai combustibili fossili

Sul tema decisivo dell’uscita dai combustibili fossili, la COP30 di Belém non riesce a fare il passo atteso.

Nessun riferimento diretto alle fonti fossili nella Mutirão Decision

Nonostante un fronte di oltre 80 Paesi favorevole a una roadmap chiara, la Mutirão Decision:

  • non cita mai direttamente petrolio, carbone e gas;

  • non include un piano condiviso per la riduzione graduale e definitiva delle fossili;

  • non affronta in modo esplicito la riforma dei sussidi ai combustibili fossili.

Molti Paesi, tra cui membri dell’UE e stati come Colombia e Panama, giudicano questo risultato insufficiente e lo definiscono un compromesso al ribasso rispetto al segnale politico arrivato dalla COP28 di Dubai.

Il ruolo dei BRICS e la spaccatura geopolitica

La COP30 viene letta da molti osservatori come una “COP dei BRICS”. Nel negoziato pesano:

  • l’assenza di una delegazione statunitense;

  • la posizione di Paesi produttori di combustibili fossili come Arabia Saudita, Russia, India;

  • le tensioni tra questi attori e l’Unione europea, più favorevole a un linguaggio forte sul phase-out delle fossili.

Alla fine l’UE decide di non bloccare l’accordo Mutirão, ma dichiara apertamente di non considerarlo sufficiente sul fronte della decarbonizzazione.

Belém Action Mechanism e giusta transizione: il lato positivo dell’accordo

Accanto al testo sulla finanza e sull’adattamento, la COP30 lancia una serie di nuove iniziative per l’implementazionee per la giusta transizione.

Belém Mission to 1.5°C e Global Implementation Accelerator

Due strumenti sono pensati per rafforzare l’azione concreta dei Paesi:

  • la Belém Mission to 1.5°C, che dovrà guidare un percorso politico fino alla COP31 per riallineare i contributi nazionali (NDC) e i piani di adattamento (NAP) con l’obiettivo di 1,5 °C;

  • il Global Implementation Accelerator, una piattaforma che dovrebbe aiutare i Paesi a passare dagli impegni scritti a progetti e politiche reali, coordinando supporto tecnico e finanziario.

Per l’Italia e per l’Unione europea queste iniziative rappresentano una possibilità per allineare meglio politiche interne, cooperazione internazionale e strumenti finanziari.

Belém Action Mechanism (BAM) per la giusta transizione

La COP30 avvia lo sviluppo del Belém Action Mechanism (BAM), un meccanismo dedicato alla just transition. L’obiettivo è:

  • supportare i Paesi nella creazione di piani di transizione giusta che proteggano lavoratori e comunità;

  • favorire cooperazione tecnologica e finanziaria non basata sul debito;

  • coordinare le diverse iniziative esistenti su giusta transizione in un unico quadro più coerente.

In sintesi, il BAM prova a colmare un vuoto: mettere al centro equità sociale, lavoro e diritti mentre si trasformano sistemi energetici, industriali e urbani.

Altri temi della COP30: disinformazione, commercio e piano di azione di genere

Disinformazione climatica e ruolo della scienza

Per la prima volta le decisioni finali di una COP:

  • riconoscono la disinformazione climatica come un ostacolo alla politica basata sulla scienza;

  • invitano i governi a proteggere l’integrità delle informazioni sul clima.

Allo stesso tempo si apre un dibattito delicato sul ruolo dell’IPCC, con alcuni Paesi che chiedono di affiancare ai suoi rapporti documenti regionali, mettendo potenzialmente a rischio l’unicità del quadro scientifico globale.

Clima e commercio: verso un dialogo strutturato

Il collegamento tra politiche climatiche e commercio internazionale è un altro fronte in crescita:

  • misure come il meccanismo di aggiustamento del carbonio alle frontiere (CBAM) dell’UE sono percepite da alcuni Paesi come barriere commerciali;

  • la COP30 decide di avviare una serie di dialoghi sul clima e commercio nell’ambito degli organi sussidiari dell’UNFCCC, con un evento di alto livello previsto nel 202.

Gender Action Plan: integrare la dimensione di genere nel clima

La COP30 aggiorna il Gender Action Plan, il piano d’azione per la parità di genere nelle politiche climatiche. Tra le priorità:

  • usare dati disaggregati per analizzare l’impatto delle politiche climatiche su donne, ragazze e gruppi vulnerabili;

  • integrare l’analisi di genere in NDC, NAP e strumenti di finanza climatica;

  • potenziare la partecipazione delle donne nei processi decisionali sul clima.

Cosa significa la COP30 per l’Italia, l’Europa e chi lavora nella sostenibilità

La COP30 di Belém lascia il mondo con un accordo a due facce:

  • lato positivo: avanza su finanza climatica, adattamento, giusta transizione, diritti umani, genere e ruolo degli attori non statali;

  • lato critico: non definisce una roadmap globale per uscire dai combustibili fossili, nonostante l’urgenza scientifica.

Per l’Italia, per l’Unione europea e per chi lavora nella sostenibilità, questo scenario si traduce in tre urgenze operative:

  1. Rafforzare le politiche interne

    • allineare piani energia-clima, strategie industriali e riforma dei sussidi dannosi con l’obiettivo di 1,5 °C;

    • integrare seriamente adattamento e giusta transizione nelle politiche nazionali e locali.

  2. Usare meglio la finanza climatica

    • collegare progetti territoriali (comunità energetiche, rigenerazione urbana, natura in città) alla finanza climatica internazionale ed europea;

    • sostenere i partner dei Paesi in via di sviluppo su NAP, adattamento e resilienza.

  3. Spingere sul phase-out delle fossili fuori dalle COP

    • partecipare e dare peso a roadmap e coalizioni sul phase-out dei combustibili fossili che si svilupperanno al di fuori dei negoziati formali;

    • usare dati, campagne e scelte di investimento per rendere incompatibile una politica climatica seria con nuove infrastrutture fossili.

La COP30 non chiude il capitolo sull’uscita dalle fossili: lo rimanda. Per chi si occupa di clima e sostenibilità, il messaggio chiave è chiaro: non basta guardare alle decisioni delle COP, serve trasformare queste cornici globali in scelte concrete nei territori, nelle imprese, nelle città.